Quando i dati sono incompleti o di scarsa qualità, anche le decisioni migliori rischiano di produrre sprechi, inefficienze e perdita di fiducia. La data governance è una leva concreta di policy e gli analytics come scenari e valutazioni ex‑ante aiutino a ridurre errori di allocazione e rischi reputazionali.
Alcuni decisori – che siano politici o aziendali – lo sanno bene: basarsi su numeri parziali o sbagliati significa esporsi a sprechi, contenziosi e perdita di fiducia da parte di cittadini, mercati e regolatori. Nel 2022, ad esempio, un errore di codifica nei sistemi di Equifax, una delle tre principali agenzie di credit reporting al mondo, ha portato all’invio di credit score errati a milioni di consumatori, con impatti su mutui e prestiti e conseguenti azioni legali.
Nel settore pubblico, la Commissione Europea stima miliardi di euro sprecati in politiche ambientali costruite su dati incompleti.
Quando i dati funzionano
La buona notizia è che i dati, se governati bene, cambiano il risultato delle politiche. New York City usa modelli predittivi per individuare gli edifici più a rischio incendio, concentrando le ispezioni dove servono davvero e aumentando sensibilmente l’efficacia dei controlli.
Città come Singapore sperimentano sistemi di gestione del traffico basati su AI e dati in tempo reale, riducendo i tempi di viaggio nelle ore di punta e migliorando l’efficienza del trasporto pubblico. Qui la qualità del dato diventa infrastruttura invisibile: meno incidenti, meno congestione, meno emissioni.
Come evitare sprechi: il caso Sicilia
Nel 2024 il Dipartimento Energia della Regione Sicilia ha chiesto a OpenEconomics di valutare ex‑ante un nuovo incentivo al biometano per le PMI agricole, per evitare di sovra‑finanziare impianti sovradimensionati e poco efficienti. Abbiamo incrociato dati fiscali, catastali e satellitari per mappare circa 2.800 potenziali impianti, simulato tre scenari di sussidio con un modello di cost–benefit dinamico e stimato gli effetti su emissioni e occupazione al 2030.
Il decisore ha scelto lo scenario “mid‑impact”, contenendo la spesa, risparmiando circa 46 milioni di euro di fondi FESR e ottenendo comunque una riduzione stimata delle emissioni del 18% e circa 1.250 nuovi posti di lavoro. In pratica, gli stessi euro pubblici hanno generato più valore ambientale e sociale, con minori rischi di contestazioni da parte di cittadini, Corte dei conti e istituzioni europee.
I tre momenti critici delle decisioni
Nel ciclo di una politica o di un investimento ci sono tre snodi in cui il dato fa la differenza.
• Definizione del problema: se il quadro informativo è parziale, si gonfiano i bisogni e si sbagliano le priorità. Dataset integrati e verificati riducono bias e “zone cieche”.
• Disegno della misura o del piano: senza scenari quantitativi si rischiano incentivi distorti, over‑budget e progetti difficili da giustificare. Modelli controfattuali e analisi di sensitività permettono di testare le opzioni prima di impegnare soldi veri.
• Monitoraggio e revisione: con dati lenti o chiusi non si corregge la rotta e la sfiducia cresce. KPI chiari, aggiornati quasi in tempo reale e, nel pubblico, open data, rendono possibile aggiustare il tiro e spiegare le scelte.
La spinta europea ai dati
La strategia europea per i dati punta a creare spazi dati settoriali interoperabili, con un impatto atteso di centinaia di miliardi di euro di PIL aggiuntivo entro il 2030. Norme come il Net‑Zero Industry Act e le linee guida sulla Better Regulation chiedono valutazioni quantitative ex‑ante basate su micro‑dati amministrativi collegati, non su medie approssimative.
Per le PA questo significa dimostrare con numeri solidi perché una misura merita fondi; per le imprese significa poter mostrare a investitori, banche e regolatori che piani industriali e strategie ESG poggiano su scenari credibili.
Cosa possono fare PA e aziende
Che si tratti di un assessorato, di una utility o di un grande gruppo industriale, il percorso parte da pochi passi concreti:
• Fare un inventario delle basi dati esistenti, individuando gap e incoerenze che oggi indeboliscono le decisioni.
• Legare un set essenziale di KPI (Key Perfomance Indicator) agli obiettivi politici o di business dichiarati, definendo da subito come verranno misurati.
• Introdurre almeno sui dossier più rilevanti una valutazione ex‑ante basata su scenari e modelli quantitativi, da usare poi anche nel monitoraggio.
Anni di lavoro in contesti complessi evidenziano che per chi fa politica o guida un’azienda investire in qualità del dato e analytics non è un lusso tecnologico: è un’assicurazione contro errori strategici, sprechi di budget e crisi reputazionali difficili da spiegare.











